Discussione:
De André e il Medioevo
(troppo vecchio per rispondere)
Marco C.
2006-11-01 10:22:57 UTC
Permalink
In una delle prime interviste De André si dichiarava appassionato
cultore del Medioevo: la cosa non deve stupire, visto che le sue prime
ballate sono intrise proprio da riferimenti musicali medievali (Fila la
lana, Carlo Martello), ma anche riferimenti storici che potremmo
associare al Medioevo (il Re di Marinella, le battaglie del suggestivo
brano La morte), e riproposizioni di brani antichi veri e propri (Il
re fa rullare i tamburi, Geordie) o presentati come tali (ancora FIla
la lana). Ma il riferimento al Medioevo più importante è il ruolo
stesso del cantastorie De André, che come i trovatori medievali
riutilizza brani musicali noti per cantare vicende di attualità, vere:
una sorta di cronaca ante-litteram.

La sua è musica colta, tratta da Telemann (per la canzone dell'amore
perduto) così come da autentici brani di musica Rinascimentale (Via
del Campo: l'incipit di questa canzone è ricorrente di molti brani
scritti sotto la corte di Elisabetta I d'Inghilterra, durante il tardo
rinascimento del Regno d'Inghilterra, ed è stato messo in evidenza
dala versione eseguita dal vivo dei PFM dove i primi accordi sono
eseguiti da un clvicembalo sintetico, proprio lo strumento principe
delle corti europee dell'epoca, non certo uno strumento 'popolare').
Insomma: musicalmente De André si rivela, con un parallelo tratto
dalle figure dei menestrelli di cinque, sette secoli prima. Egli si
rivolge ai potenti, non al popoli, con la musica colta ripresa dalla
musica cortigiana, ma che già all'epoca era proposta come musica
'popolare'. Un po' come accade in Don Raffaè, dove torna unn certo
filone di musica 'popolare' napoletana, che però popolare (nel senso
'fatta dal popolo') non è, perchè spesso tratta da antiche opere in
parte perdute, con autori che hanno sempre nomi e cognomi, ancorchè
non sempre noti.

Come nelle canzoni medievali o rinascimentali (in certi casi più
appropriatamente), non esistono veri e propri riferimenti temporali nei
primi testi, ma solo situazioni che potrebbero collocarsi ovunque, come
delle fiabe. E anche le fiabe hanno spesso autori cortigiani, anche gli
stessi trovatori citati prima, che si rivolgono alle corti per fare
passare dei messaggi provenienti anche da una vita popolare, ma
'lontana' e 'senza tempo'.

De André inoltre ha dichiarato di sognare una comunità senza
tecnologia, con i suoi amici, in un luogo isolato: la tecnologia
sarebbe servita solo per comunicare con tutti gli altri. Questo sogno
l'ha poi inseguito con la tenuta immersa nell'isolamento
dell'entroterra sardo, a contatto con la natura e i suoi ritmi: un
viaggio indietro nel tempo che è stato anche un contatto con gli
uomini di quella realtà, dove il banditismo è una realtà, la natura
non è sempre clemente, e persiste la disamistade ancestrale. Una sorta
di Medioevo da questo punto di vista, dove la teconologi e la
globalizzazione non hanno certo messo piede. Quello tentato è un
percorso di avvicinameno alla realtà più vera dell'uomo, visto in una
realtà meno artificialepossibile, in un mondo altomedievale. Così
come era medievale il sogni rincorso nel percorso della mulattiera di
mare, rievocando la antica lingua genovese multietnica, carica delle
memorie dei popoli del mediterraneo: un messaggio di pace sottinteso
tra l'Eurasia (Genova, il mondo turco) e il Nordafrica che possiamo
trovare nel XIV secolo, alla vigilia dell'Evo Moderno e della scoperta
dell'America, ad opera del (probabilmente) genovese emigrante Colombo.

E'un evo lontano, un medioevo ancestrale quello che De André rievoca
in tutta la sua opera: non è l'evo di trionfali battaglie dell'uomo
sull'uomo (vedi la parodia del potere di Carlo Martello), ma è in
realtà il sogno di un'evo dove le dinamche umane sono quelle più
naturali, dove è possibile la pietà, l'amore; dove la violenza
dell'uomo 'naturale: crudele ma incolpevole' è l' altra faccia
naturale della fratellanza dove è possibile un viaggio spirituale
(Khorakanè) che è anche un percorso di vita lontano da quei luoghi
'comuni, e più feroci' dell'omologazione, della morte psicologica,
morale che tanto spaventa. Un percorso di vita che si nutre della
solitudine, di una direzione contraria: un'utopia, cioè un non luogo.
Anzi, quel luogo vero, crudele ma incolpevole che abbiamo dentro di noi
ascoltatori, che il suono della sua voce senza tempo e delle note
dell'evo di mezzo sanno ancora a farci sussultare dentro,
improvvisamente, ricordandoci che esiste; ed è un luogo dell'anima.
Fabio
2006-11-01 20:03:13 UTC
Permalink
Bellissimo quanto hai scritto e quanto hai citato , sul rapporto di De Andrè
con il Medioevo e parlando del Medioevo come una sorta di presenza buia e
lucente che rimane sospesa sul nostro vivere .. davvero notevole ,
complimenti. Hai letto qualche libro a proposito ? Grazie :)
"Marco C." <***@gmail.com> ha scritto nel messaggio news:***@i42g2000cwa.googlegroups.com...
In una delle prime interviste De André si dichiarava appassionato
cultore del Medioevo: la cosa non deve stupire, visto che le sue prime
ballate sono intrise proprio da riferimenti musicali medievali (Fila la
lana, Carlo Martello), ma anche riferimenti storici che potremmo
associare al Medioevo (il Re di Marinella, le battaglie del suggestivo
brano La morte), e riproposizioni di brani antichi veri e propri (Il
re fa rullare i tamburi, Geordie) o presentati come tali (ancora FIla
la lana). Ma il riferimento al Medioevo più importante è il ruolo
stesso del cantastorie De André, che come i trovatori medievali
riutilizza brani musicali noti per cantare vicende di attualità, vere:
una sorta di cronaca ante-litteram.

La sua è musica colta, tratta da Telemann (per la canzone dell'amore
perduto) così come da autentici brani di musica Rinascimentale (Via
del Campo: l'incipit di questa canzone è ricorrente di molti brani
scritti sotto la corte di Elisabetta I d'Inghilterra, durante il tardo
rinascimento del Regno d'Inghilterra, ed è stato messo in evidenza
dala versione eseguita dal vivo dei PFM dove i primi accordi sono
eseguiti da un clvicembalo sintetico, proprio lo strumento principe
delle corti europee dell'epoca, non certo uno strumento 'popolare').
Insomma: musicalmente De André si rivela, con un parallelo tratto
dalle figure dei menestrelli di cinque, sette secoli prima. Egli si
rivolge ai potenti, non al popoli, con la musica colta ripresa dalla
musica cortigiana, ma che già all'epoca era proposta come musica
'popolare'. Un po' come accade in Don Raffaè, dove torna unn certo
filone di musica 'popolare' napoletana, che però popolare (nel senso
'fatta dal popolo') non è, perchè spesso tratta da antiche opere in
parte perdute, con autori che hanno sempre nomi e cognomi, ancorchè
non sempre noti.

Come nelle canzoni medievali o rinascimentali (in certi casi più
appropriatamente), non esistono veri e propri riferimenti temporali nei
primi testi, ma solo situazioni che potrebbero collocarsi ovunque, come
delle fiabe. E anche le fiabe hanno spesso autori cortigiani, anche gli
stessi trovatori citati prima, che si rivolgono alle corti per fare
passare dei messaggi provenienti anche da una vita popolare, ma
'lontana' e 'senza tempo'.

De André inoltre ha dichiarato di sognare una comunità senza
tecnologia, con i suoi amici, in un luogo isolato: la tecnologia
sarebbe servita solo per comunicare con tutti gli altri. Questo sogno
l'ha poi inseguito con la tenuta immersa nell'isolamento
dell'entroterra sardo, a contatto con la natura e i suoi ritmi: un
viaggio indietro nel tempo che è stato anche un contatto con gli
uomini di quella realtà, dove il banditismo è una realtà, la natura
non è sempre clemente, e persiste la disamistade ancestrale. Una sorta
di Medioevo da questo punto di vista, dove la teconologi e la
globalizzazione non hanno certo messo piede. Quello tentato è un
percorso di avvicinameno alla realtà più vera dell'uomo, visto in una
realtà meno artificialepossibile, in un mondo altomedievale. Così
come era medievale il sogni rincorso nel percorso della mulattiera di
mare, rievocando la antica lingua genovese multietnica, carica delle
memorie dei popoli del mediterraneo: un messaggio di pace sottinteso
tra l'Eurasia (Genova, il mondo turco) e il Nordafrica che possiamo
trovare nel XIV secolo, alla vigilia dell'Evo Moderno e della scoperta
dell'America, ad opera del (probabilmente) genovese emigrante Colombo.

E'un evo lontano, un medioevo ancestrale quello che De André rievoca
in tutta la sua opera: non è l'evo di trionfali battaglie dell'uomo
sull'uomo (vedi la parodia del potere di Carlo Martello), ma è in
realtà il sogno di un'evo dove le dinamche umane sono quelle più
naturali, dove è possibile la pietà, l'amore; dove la violenza
dell'uomo 'naturale: crudele ma incolpevole' è l' altra faccia
naturale della fratellanza dove è possibile un viaggio spirituale
(Khorakanè) che è anche un percorso di vita lontano da quei luoghi
'comuni, e più feroci' dell'omologazione, della morte psicologica,
morale che tanto spaventa. Un percorso di vita che si nutre della
solitudine, di una direzione contraria: un'utopia, cioè un non luogo.
Anzi, quel luogo vero, crudele ma incolpevole che abbiamo dentro di noi
ascoltatori, che il suono della sua voce senza tempo e delle note
dell'evo di mezzo sanno ancora a farci sussultare dentro,
improvvisamente, ricordandoci che esiste; ed è un luogo dell'anima.
Marco C.
2006-11-01 22:17:43 UTC
Permalink
Post by Fabio
Bellissimo quanto hai scritto e quanto hai citato , sul rapporto di De Andrè
con il Medioevo e parlando del Medioevo come una sorta di presenza buia e
lucente che rimane sospesa sul nostro vivere .. davvero notevole ,
complimenti.
Grazie a te dei gentili complimenti!
Post by Fabio
Hai letto qualche libro a proposito ?
A proposito di De André sì, si è scritto molto, ma del rapporto tra
De André e il Medioevo nulla di specifico...Non ti saprei consigliare
un testo in particolare, anche perchè quella che ho scritto era un po'
un'interpretazione personale, e un'altra persona ne avrebbe fatta
un'altra, anche molto differente (e valida allo stesso modo)!

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