Discussione:
La religione per Fabrizio
(troppo vecchio per rispondere)
PaoloTalanca
2004-02-27 12:54:43 UTC
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vi segnalo un'analisi che ho fatto sul sito col quale collaboro circa alcuni
motivi religiosi in Fabrizio. Come sempre metto il link, per rispetto degli
amministratori di concertodisogni.com
So che, ad esempio, a Riccardo Venturi non piacciono i link, ma ho la
parziale discolpa nel fatto che da tempo Riccardo non si vede sul NG.

Ecco l'indirizzo

http://www.concertodisogni.com/mp/topic.asp?TOPIC_ID=7342&FORUM_ID=15&CaT_ID=4&Topic_Title=Alcuni+motivi+religiosi+in+De+Andr%E9&Forum_Title=+



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Franco Senia
2004-02-27 13:03:46 UTC
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Post by PaoloTalanca
So che, ad esempio, a Riccardo Venturi non piacciono i link
non piacciono nemmeno a me, i link!
per cui....

salud

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“Credevano a un altro diverso da Te
e non mi hanno fatto del male…”

La religione in Fabrizio De André

Fabrizio De André. Spesso basta questo nome per provocare due tipi di
reazioni distinte: approvazione entusiasta e consapevole o rispetto
fiducioso di “bravura per sentito dire”. Il mondo cantautoriale italiano è
relativamente vasto, tanto da creare giudizi artistici che variano nel caso
di strumentalizzazione politica per alcuni, di canzoni troppo commerciali o
troppo tristi per altri. Il rischio che si corre è quello di non tenere in
considerazione il fatto che nell’intero magma di autori di testi e musica
che cantano le proprie opere – i cosiddetti cantautori – gli artisti che
creano arte sono quelli che decidono di trattare certi temi, distaccandosi
quanto più possibile dalle strazianti e ritrite tematiche amorose, che
ergono a baluardo inconfondibile la rima “cuore/amore” di tradizione
canzonettistica italiana. Con De André (e con pochi altri in verità) non si
corre assolutamente questo rischio. Uno dei temi principalmente trattati, in
alternativa alle mielose tiritere amorose, è sicuramente il tema del
rapporto con la religiosità.
Il proprio rapporto con la religione che Fabrizio De André lascia trasparire
nelle sue canzoni è assolutamente complesso. Spesso si usa far risalire al
1967 la data delle prime opere a sfondo religioso di Fabrizio. In
quell’anno, infatti, uscì l’album intitolato Volume I, dove c’erano canzoni
dai titoli inequivocabili come Preghiera in gennaio (scritta la notte prima
dei funerali di Tenco) o Si chiamava Gesù. Io credo invece che Fabrizio, sin
dalle prime canzoni, raccolte in quarantacinque giri, abbia composto opere
che cercavano di rispondere ad una coerenza di fondo, la stessa coerenza che
l’ha accompagnato per tutta la sua vita e carriera artistica. Questa
uniformità apparteneva di sicuro anche alle primissime canzoni e si
rispecchiava nel rapporto con i misteri religiosi. E’ forse un quadro
abusato ed incompleto quello che dipinge Fabrizio come cantore delle persone
ingiustamente emarginate dalla società, ma è proprio da una di loro che
vorrei cominciare ad esaminare la relazione tra il cantautore genovese e la
fede. La canzone La ballata del Miche’ risale al 1961 e già da lì si
evidenzia una sorta di rivendicazione umana da parte dell’autore, una velata
insofferenza per l’ingiustizia che toccherà a Miche’ anche dopo la morte.
Miche’ si uccide in carcere perché non sopporta di stare lontano dalla sua
Mimì. Alla mancanza di amore preferisce la morte e Fabrizio non accetta che
“domani alle tre | nella fossa comune cadrà | senza il prete e la Messa
perché di un suicida non hanno pietà”. Questi versi trasudano di voglia di
equità, tanto quanto quelli della sopra citata Preghiera in gennaio, dove
Fabrizio immagina Luigi Tenco “quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte |
ai suicidi dirà baciandoli alla fronte | <<Venite in Paradiso là dove vado
anch'io | perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio>>”; questo
susseguirsi di alessandrini, come l’immeritata sepoltura di Miche’, può
riassumersi nei versi celeberrimi de La città vecchia “se non sono gigli |
son pur sempre figli | vittime di questo mondo” o con quelli di Via del
campo “dai diamanti non nasce niente | dal letame nascono i fior”, fino a
giungere – come ulteriore prova di coerenza – all’ultimissima canzone della
sua vita, Smisurata preghiera, che alla maniera di un testamento incalza
“ricorda Signore questi servi disobbedienti | alle leggi del branco | non
dimenticare il loro volto | che dopo tanto sbandare | è appena giusto che la
fortuna li aiuti | come una svista | come un'anomalia | come una distrazione
| come un dovere”.
E’ importante osservare che in queste mie analisi, per trattare del rapporto
tra De André e la religione, ho usato la parola Dio. In effetti però De
André si definisce un animista e la parola Dio è spesso da lui usata per
pura comprensibilità, dato che in effetti Fabrizio frequentemente si rivolge
al Grande Spirito in cui si ricongiungono tutti i minuscoli frammenti di
spiritualità dell’universo ed il problema più che religioso è mistico, il
problema di un uomo che ha bisogno di fede ma fede non ha trovato. Non è
però mancato un periodo che potremmo chiamare di analisi della religione
cristiana, mi riferisco in particolare al disco del 1970 La buona novella.
Non è mia intenzione esaminare tutti gli aspetti di questo album, però credo
che vadano sottolineati alcuni passi fondamentali, che ci forniscono una
strada per comprendere il punto di vista dell’autore. La buona novella è una
rivisitazione degli avvenimenti del Nuovo Testamento sulla base dei Vangeli
apocrifi. Gli autori di questi Vangeli furono greci, arabi, bizantini e
armeni e rappresentavano una voce inascoltata rispetto ai Vangeli canonici
che De André definiva “l’ufficio stampa della Grande Chiesa”. A Fabrizio
interessava la ricostruzione laica della vita di Cristo, al quale
riconosceva il merito di predicare la fratellanza universale e che
identificava come un vero eroe rivoluzionario. L’amore come “pietà che non
cede al rancore” conteneva per Fabrizio una delle più grandi istanze
rivoluzionarie di sempre e già dalla canzone Si chiamava Gesù la sua mira
era quella di rendere più umana la figura di Cristo, restando nella tendenza
all’eterno di un amore senza rancore che esplodeva nei versi di quella
canzone: “ma inumano è pur sempre l'amore | di chi rantola senza rancore |
perdonando con l'ultima voce | chi lo uccide tra le braccia d'una croce”,
dove inumano (dunque non-umano, in questo caso divino o per meglio dire
metafisico) è quel tipo di amore, non i rantoli di un uomo ucciso
ingiustamente. Quei rantoli sono umani, ed è proprio questa maggiore umanità
che viene fuori dalla lettura degli apocrifi. Vengono fuori, ad esempio,
quelle caratteristiche terrene di Maria che hanno una lunghissima tradizione
sia nelle rappresentazioni religiose teatrali dei primi testi volgari, sia
nella poesia religiosa volgare, come in Jacopone da Todi che in Donna de
Paradiso si accosta allo spirito dei Vangeli apocrifi (ad esempio il Vangelo
di Nicodemo) già nel famoso pianto della Madonna “O figlio, figlio, figlio!
| Figlio, amoroso giglio | figlio, chi da consiglio | al cor mio angustiato?
| Figlio, occhi giocondi | Figlio, co' non respondi? | Figlio, perché
t'ascondi | dal petto ove se' lattato?”. Successivamente De André avrebbe
dato prova di apprezzare questo passo della poesia di Jacopone (e
dell’apocrifo di Nicodemo) nella canzone Ottocento risalente al 1990, in
particolare nel passo “Figlio figlio | povero figlio | eri bello bianco e
vermiglio | quale intruglio ti ha | perduto nel Naviglio | figlio figlio |
unico sbaglio | annegato come un coniglio | per ferirmi | pugnalarmi
nell'orgoglio | a me a me | che ti trattavo come un figlio | povero me |
domani andrà meglio”, in cui entra in gioco il “combattimento” generazionale
che anche Vecchioni ha trattato nella canzone del 2002, appunto Figlio
figlio figlio e che tanto assomiglia al pianto di Davide, nel II libro di
Samuele, per la morte del figlio Assalonne.
La disperazione di Maria, dunque, è una caratteristica fondamentale per
rendere umanità alla figura della Madonna e sarà un punto di partenza, che
culminerà nella fortissima frase che Fabrizio farà pronunciare a Maria nella
canzone Tre madri “non fossi stato figlio di Dio | t’avrei ancora per figlio
mio”.
Questo evidenziare il lato umano dei personaggi del Vangelo è senza dubbio
una presa di posizione forte della concezione religiosa di De André, e ci
chiarisce in maniera indiretta l’essenza di quel Grande Spirito che “per
chiarezza” Fabrizio individuava col nome di Dio. Se la primissima canzone de
La buona novella si intitola Laudate dominum e l’ulitimissima Laudate
hominem, è chiaro che, attraverso un travaglio interiore, l’autore rivendica
la rivalutazione degli atti umani, una fiducia incondizionata che anche
Vecchioni sembra esigere nella canzone La stazione di Zima: “Lasciami |
questo sogno disperato | d'esser uomo | lasciami | quest'orgoglio smisurato
| di esser solo un uomo”.
La lezione di Gesù come uomo è stata fondamentale; la lezione di un uomo che
ha messo in pratica l’unica regola che la religione può imporci, cioè di
amare il prossimo in coerenza con una fratellanza realmente attuabile. Il
fatto di porre l’accento sul tipo di amore portato da Cristo è una forza
tutta umana, che diventa surrogato di una fede aleatoria e misteriosa. Se a
Tito sulla croce Fabrizio fa pronunciare i versi “io nel vedere quest'uomo
che muore | madre, io provo dolore | nella pietà che non cede al rancore |
madre, ho imparato l'amore”, balza agli occhi quanto fosse importante anche
per l’uomo De André il rispetto dell’altro, anche nell’errore o nella
disperazione di questo altro.
Ecco perché Fabrizio è ricorso ai Vangeli apocrifi. Assunto il fatto che i
quattro Vangeli canonici rendevano una versione più o meno simile, egli si è
voluto provare in una tangibilità testimoniata da persone anche non
perfettamente calate nella realtà cristiana, ma che comunque riportano la
vita di Cristo con un enorme rispetto. Non è un segreto che, ad esempio, nel
mondo islamico Gesù sia considerato uno dei più grandi profeti mai esistiti
e che, di contro, per i cristiani Maometto sia poco più che un cialtrone.
E’ una enorme coerenza che anima questa voglia di non giudicare le diversità
da parte di De André, anche in campo religioso. E’ la coerenza di un uomo
che nelle canzoni non ha mai sbattuto la porta di fronte all’alterità e che,
anzi, ha da sempre condannato la forza dell’ipocrisia di una maggioranza
meschina. Tutt’altra cosa, rispetto a questa meschinità, è l’amore che
l’uomo è capace di provare.

Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
onde s'attrista sì che 'l contrario ama;
ed è chi per ingiuria par ch'aonti,
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che 'l male altrui impronti.
(La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XVII, vv. 112-123)


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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da
un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto

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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
Franco Senia
2004-02-27 16:37:30 UTC
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Post by PaoloTalanca
vi segnalo un'analisi che ho fatto sul sito col quale collaboro circa alcuni
motivi religiosi in Fabrizio.
il "motivo religioso" in fabrizio de andré. Un tema inconseuto! ;-)
Non ho mai capito fino in fondo per quale motivo, si sia (un po' tutti
in generale) a intravvedere una predominanza della "preoccupazione
religiosa" più in de andré che in, chessoio, guccini. Se dovessi
raffrontare in qualche modo la disposizione di ciascuno dei due,
rispetto alla religiosità, sarei portato a sintetizzare, usando del
testo delle loro canzoni, un guccini che chiede a dio di liberarci dal
male (compreso quello derivante dalla sua esistenza) e un de andré che
lo esorta, qualora ci fosse e non fosse un'invenzione di qualcuno, a
continuare a farsi i fatti suoi.
Ciò premesso, quando affermi che
Post by PaoloTalanca
Il rischio che si corre è quello di non tenere in
considerazione il fatto che nell’intero magma di autori di testi e musica
che cantano le proprie opere – i cosiddetti cantautori – gli artisti che
creano arte sono quelli che decidono di trattare certi temi, distaccandosi
quanto più possibile dalle strazianti e ritrite tematiche amorose, che
ergono a baluardo inconfondibile la rima “cuore/amore” di tradizione
canzonettistica italiana.
credo che sia riduttivo, se non falso, assumere che per creare "arte"
si debbano necessariamente affrontare, nel proprio repertorio, temi
che non siano quelli legati al cuore che rima con amore. Estendendo un
concetto che afferma non esistano arti maggiori e minori, si potrebbe,
parimenti, affermare che non esistono tematiche "basse" e tematiche
"alte". E neppure è detto che un autore, che non affronta tematiche
altre da quelle legate al muscolo cardiaco, non possa, per questo,
accedere alla "categoria più alta" dei suoi colleghi.
Ovviamente, a mio avviso, la cosa funziona nei due sensi; e non si
sfugge certo alla mediocrità solo perché si sceglie di"impegnarsi" ad
affrontare determinate tematiche!
Post by PaoloTalanca
(...)
Uno dei temi principalmente trattati, in
alternativa alle mielose tiritere amorose, è sicuramente il tema del
rapporto con la religiosità.
non sempre le tiritere amorose sono mielose. A volte sono assai più
"mielose" le tiritere legate a temi come la religiosità.
Post by PaoloTalanca
(...)
Io credo invece che Fabrizio, sin
dalle prime canzoni, raccolte in quarantacinque giri, abbia composto opere
che cercavano di rispondere ad una coerenza di fondo, la stessa coerenza che
l’ha accompagnato per tutta la sua vita e carriera artistica. Questa
uniformità apparteneva di sicuro anche alle primissime canzoni e si
rispecchiava nel rapporto con i misteri religiosi.
Perdona, ma non riesco a vedere a quale "coerenza di fondo" si potesse
richiamare una canzone come "nuvole barocche", o "e fu la notte". Non
riesco a costruirmi un fabrizio de andré "ossessionato" da una
preoccupazione (come può invece essere un philip dick, ossessionato
dalla "preoccupazione" della realtà), né religiosa né altrimenti.
Anche perché questo leggo nella tua "definizione" di coerenza.
Post by PaoloTalanca
(...)
La canzone La ballata del Miche’ risale al 1961 e già da lì si
evidenzia una sorta di rivendicazione umana da parte dell’autore, una velata
insofferenza per l’ingiustizia che toccherà a Miche’ anche dopo la morte.
Miche’ si uccide in carcere perché non sopporta di stare lontano dalla sua
Mimì. Alla mancanza di amore preferisce la morte e Fabrizio non accetta che
“domani alle tre | nella fossa comune cadrà | senza il prete e la Messa
perché di un suicida non hanno pietà”.
che strano, ho sempre ritenuto che miché si suicidasse perché non
sopportava di rimanere rinchiuso. La morte come modo di riguadagnare
la libertà, più che l'amore. E il diniego del funerale religioso visto
come "cifra" dell'ipocrisia di una società che non esita, pur di
stabilire la supremazia della propria concezione di "bene", a
"condannare" ad una pena - quale la dannazione eterna - che non
ammette nessun appello. Preoccupazioni queste che verranno espresse a
più riprese in molte delle canzoni successive.
Post by PaoloTalanca
(...)
In effetti però De André si definisce un animista e la parola Dio è spesso
da lui usata per pura comprensibilità, dato che in effetti Fabrizio
frequentemente si rivolge al Grande Spirito in cui si ricongiungono tutti i
minuscoli frammenti di spiritualità dell’universo ed il problema più che
religioso è mistico, il problema di un uomo che ha bisogno di fede ma fede
non ha trovato.
Sempre procedendo dal mio punto vista, ritengo che de andré, forse,
avesse assunto il punto di vista opposto, a quanto da te espresso.
Pensa ad un uomo che ritiene di non aver bisogno affatto di "fede" ma
che coltiva il timore, o il sospetto, che "dio" possa esistere.
A questo punto non c'è modo migliore di "esorcizzarlo" che quello di
assumere un punto di vista "animista", laddove dio è talmente
dappertutto che non ha più bisogno di essere da nessuna parte.
Post by PaoloTalanca
(...)
A Fabriziointeressava la ricostruzione laica della vita di Cristo, al quale
riconosceva il merito di predicare la fratellanza universale e che
identificava come un vero eroe rivoluzionario. L’amore come “pietà che non
cede al rancore” conteneva per Fabrizio una delle più grandi istanze
rivoluzionarie di sempre e già dalla canzone Si chiamava Gesù la sua mira
era quella di rendere più umana la figura di Cristo, restando nella tendenza
all’eterno di un amore senza rancore che esplodeva nei versi di quella
canzone: (...)
Un'altra opinione che ho sempre sostenuto è quella che afferma non
essere presente per niente, il personaggio di gesù cristo, ne "la
buona novella". Si vede muovere, sebbene nell'ombra, perfino dimaco
ben più di cristo. Niente cristo e, soprattutto, niente cristianesimo.
C'è una stupenda storia di amore carnale e c'è una requisitoria
incofutabile, un punto per volta, del cristianesimo.
Magari fabrizio de andré aveva letto "il trattato dei tre impostori" -
che si può leggere, volendo, su http://www.alateus.it/treit.htm - di
anonimo (erroneamente attribuito a d'holbach), scritto nel 1715!


salud

-- Franco Senia --
_____________________________________________

" Ci fu una generazione che volle rispondere a tutto.
Allora gli chiesero e dovette rispondere di tutto."

- Erri De Luca, Aceto, Arcobaleno -
____________________________________________
PaoloTalanca
2004-02-27 17:44:08 UTC
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Post by Franco Senia
il "motivo religioso" in fabrizio de andré. Un tema inconseuto! ;-)
Non ho mai capito fino in fondo per quale motivo, si sia (un po' tutti
in generale) a intravvedere una predominanza della "preoccupazione
religiosa" più in de andré che in, chessoio, guccini. Se dovessi
raffrontare in qualche modo la disposizione di ciascuno dei due,
rispetto alla religiosità, sarei portato a sintetizzare, usando del
testo delle loro canzoni, un guccini che chiede a dio di liberarci dal
male (compreso quello derivante dalla sua esistenza) e un de andré che
lo esorta, qualora ci fosse e non fosse un'invenzione di qualcuno, a
continuare a farsi i fatti suoi.
Si poteva fare in De André, come in Guccini, come in Vecchioni, come in
Baglioni o anche in Montale. Questo articolo l'ho scritto per un periodico
universitario ed all'inizio doveva essere una comparazione tra i cantautori.
Poi mi è venuta voglia di farlo solo su Fabrizio.
Post by Franco Senia
credo che sia riduttivo, se non falso, assumere che per creare "arte"
si debbano necessariamente affrontare, nel proprio repertorio, temi
che non siano quelli legati al cuore che rima con amore. Estendendo un
concetto che afferma non esistano arti maggiori e minori, si potrebbe,
parimenti, affermare che non esistono tematiche "basse" e tematiche
"alte". E neppure è detto che un autore, che non affronta tematiche
altre da quelle legate al muscolo cardiaco, non possa, per questo,
accedere alla "categoria più alta" dei suoi colleghi.
Ovviamente, a mio avviso, la cosa funziona nei due sensi; e non si
sfugge certo alla mediocrità solo perché si sceglie di"impegnarsi" ad
affrontare determinate tematiche!
Su questo in un certo senso ti dò ragione. Dico "in un certo senso" perché
ho dato per buona la triste idea generale che la canzone sia un'arte minore
rispetto alla poesia. Ho fatto ciò perché probabilmente il giornale verrà
letto da un pubblico non necessariamente esperto, al quale pare normale che
le canzoni siano arte più bassa rispetto alla poesia. Parallelamente
nell'immaginario collettivo la stessa differenza che c'è tra De André e
Ungaretti ci può essere tra De André e Zero, ad esempio. Forse qui più che
di tematiche diverse avrei dovuto parlare di spirito col quale si scrivono
le canzoni ma mi è sembrato di essere più chiaro così, metendo in mezzo
anche l'atmosfera sanremese, inequivocabilmente altra cosa rispetto
all'arte. Mi sa che non sono stato molto chiaro...
Post by Franco Senia
non sempre le tiritere amorose sono mielose. A volte sono assai più
"mielose" le tiritere legate a temi come la religiosità.
Perché, ho detto il contrario? Conosco moltissime splendide canzoni d'amore
e non solo di Guccini o De André, ma di Baglioni, Dalla, Ligabue e molti
altri
Post by Franco Senia
Perdona, ma non riesco a vedere a quale "coerenza di fondo" si potesse
richiamare una canzone come "nuvole barocche", o "e fu la notte". Non
riesco a costruirmi un fabrizio de andré "ossessionato" da una
preoccupazione (come può invece essere un philip dick, ossessionato
dalla "preoccupazione" della realtà), né religiosa né altrimenti.
Anche perché questo leggo nella tua "definizione" di coerenza.
Beh, qui per coerenza di fondo mi riferisco ad un rapporto tra canzoni a
sfondo religioso e quelle non a sfondo religioso. Grossolanamente: se De
André cantava il disagio e l'assurdità di un soggetto emarginato dalla
società, la stessa cosa faceva con un peccatore emarginato da Dio, secondo
regole inaccettabili. Questo intendo per coerenza... che poi "E fu la notte"
ed altro ancora siano peccati di gioventù (come lo stesso Fabrizio ha
ammesso) è un altro discorso. E poi un italiano non smette di essere
italiano se ogni tanto va a fare i cazzi suoi in Francia.
Post by Franco Senia
che strano, ho sempre ritenuto che miché si suicidasse perché non
sopportava di rimanere rinchiuso. La morte come modo di riguadagnare
la libertà, più che l'amore. E il diniego del funerale religioso visto
come "cifra" dell'ipocrisia di una società che non esita, pur di
stabilire la supremazia della propria concezione di "bene", a
"condannare" ad una pena - quale la dannazione eterna - che non
ammette nessun appello. Preoccupazioni queste che verranno espresse a
più riprese in molte delle canzoni successive.
"se n'è andato dal mondo
tu sai che lo ha fatto
soltanto per te"
Credo che la voglia di libertà sia una conseguenza. Però magari si sarebbe
ucciso anche se non avesse avuto Mari'
Post by Franco Senia
Sempre procedendo dal mio punto vista, ritengo che de andré, forse,
avesse assunto il punto di vista opposto, a quanto da te espresso.
Pensa ad un uomo che ritiene di non aver bisogno affatto di "fede" ma
che coltiva il timore, o il sospetto, che "dio" possa esistere.
A questo punto non c'è modo migliore di "esorcizzarlo" che quello di
assumere un punto di vista "animista", laddove dio è talmente
dappertutto che non ha più bisogno di essere da nessuna parte.
Quella affermazione l'ho ripresa pari pari dal libro dell'Einaudi "Come
un'anomalia". Sono le parole di De André. Lì Fabrizio dice anche di essere
contro il consumismo perché "si svilisce il valore dell'oggetto e se ne
facilita la distruzione". E' chiaro che questo Grande Spirito è astratto e
dal crollo di una certa immanenza (di certo l'immanentismo che sempre lì
Fabrizio cita), rimane in piedi solo il rapporto che ognuno ha con questi
oggetti e col prossimo. Credevo che questo si capisse già nel momento in cui
si escludesse di limitare alla figura di Dio la forza di quello Spirito.
Post by Franco Senia
Un'altra opinione che ho sempre sostenuto è quella che afferma non
essere presente per niente, il personaggio di gesù cristo, ne "la
buona novella". Si vede muovere, sebbene nell'ombra, perfino dimaco
ben più di cristo. Niente cristo e, soprattutto, niente cristianesimo.
C'è una stupenda storia di amore carnale e c'è una requisitoria
incofutabile, un punto per volta, del cristianesimo.
Qui non mi trovi d'accordo perché credo proprio che la figura di Cristo stia
alla base del discorso poetico de La buona novella. Lo penso perché è
proprio la figura di Cristo che in un certo senso confuta l'antico
testamento. Inoltre in troppe interviste De André ha esaltato la valenza
rivoluzionaria di Gesù, parlando le La buona novella o semplicemente di
religione.

Una cosa ci tengo a precisare. Questo mio articolo è volutamente incompleto
e abbastanza vago proprio per l'uso al quale è destinato. E' incompleto
perché altrimenti avrei riempito l'intero periodico, vago, in parte per
questo stesso motivo, in parte perché se non si conoscono bene i testi ci si
perde molto facilmente. Dico questo perché io credo che la maggior parte
delle persone non conosca i cantautori italiani. Se pensiamo che De ANdré è
venduto assieme a Sorrisi e canzoni ci rendiamo conto che si vuole vendere
una certa "faccia". A proposito di salvia splendens, visto che nel regno di
re silvio conta solo l'apparenza oggigiorno è molto utile comprare i diritti
di alcuni artisti e truccare i loro messaggi. Così oggi, per molti, De André
è solo Marinella e Bocca di rosa e se tu provi ad approfondire un pò
l'argomento (intendo scrivendo cose su dei giornali cose troppo
approfondite) o sei preso per pazzo oppure per incapace. Purtroppo questo
l'ho vissuto sulla mia pelle, così ho deciso di scrivere pezzi
"propedeutici" e non andare troppo in fondo... visto che tanto mi pagano lo
stesso ;-)

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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
PaoloTalanca
2004-02-27 17:47:04 UTC
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Post by Franco Senia
il "motivo religioso" in fabrizio de andré. Un tema inconseuto! ;-)
Non ho mai capito fino in fondo per quale motivo, si sia (un po' tutti
in generale) a intravvedere una predominanza della "preoccupazione
religiosa" più in de andré che in, chessoio, guccini. Se dovessi
raffrontare in qualche modo la disposizione di ciascuno dei due,
rispetto alla religiosità, sarei portato a sintetizzare, usando del
testo delle loro canzoni, un guccini che chiede a dio di liberarci dal
male (compreso quello derivante dalla sua esistenza) e un de andré che
lo esorta, qualora ci fosse e non fosse un'invenzione di qualcuno, a
continuare a farsi i fatti suoi.
Si poteva fare in De André, come in Guccini, come in Vecchioni, come in
Baglioni o anche in Montale. Questo articolo l'ho scritto per un periodico
universitario ed all'inizio doveva essere una comparazione tra i cantautori.
Poi mi è venuta voglia di farlo solo su Fabrizio.
Post by Franco Senia
credo che sia riduttivo, se non falso, assumere che per creare "arte"
si debbano necessariamente affrontare, nel proprio repertorio, temi
che non siano quelli legati al cuore che rima con amore. Estendendo un
concetto che afferma non esistano arti maggiori e minori, si potrebbe,
parimenti, affermare che non esistono tematiche "basse" e tematiche
"alte". E neppure è detto che un autore, che non affronta tematiche
altre da quelle legate al muscolo cardiaco, non possa, per questo,
accedere alla "categoria più alta" dei suoi colleghi.
Ovviamente, a mio avviso, la cosa funziona nei due sensi; e non si
sfugge certo alla mediocrità solo perché si sceglie di"impegnarsi" ad
affrontare determinate tematiche!
Su questo in un certo senso ti dò ragione. Dico "in un certo senso" perché
ho dato per buona la triste idea generale che la canzone sia un'arte minore
rispetto alla poesia. Ho fatto ciò perché probabilmente il giornale verrà
letto da un pubblico non necessariamente esperto, al quale pare normale che
le canzoni siano arte più bassa rispetto alla poesia. Parallelamente
nell'immaginario collettivo la stessa differenza che c'è tra De André e
Ungaretti ci può essere tra De André e Zero, ad esempio. Forse qui più che
di tematiche diverse avrei dovuto parlare di spirito col quale si scrivono
le canzoni ma mi è sembrato di essere più chiaro così, metendo in mezzo
anche l'atmosfera sanremese, inequivocabilmente altra cosa rispetto
all'arte. Mi sa che non sono stato molto chiaro...
Post by Franco Senia
non sempre le tiritere amorose sono mielose. A volte sono assai più
"mielose" le tiritere legate a temi come la religiosità.
Perché, ho detto il contrario? Conosco moltissime splendide canzoni d'amore
e non solo di Guccini o De André, ma di Baglioni, Dalla, Ligabue e molti
altri
Post by Franco Senia
Perdona, ma non riesco a vedere a quale "coerenza di fondo" si potesse
richiamare una canzone come "nuvole barocche", o "e fu la notte". Non
riesco a costruirmi un fabrizio de andré "ossessionato" da una
preoccupazione (come può invece essere un philip dick, ossessionato
dalla "preoccupazione" della realtà), né religiosa né altrimenti.
Anche perché questo leggo nella tua "definizione" di coerenza.
Beh, qui per coerenza di fondo mi riferisco ad un rapporto tra canzoni a
sfondo religioso e quelle non a sfondo religioso. Grossolanamente: se De
André cantava il disagio e l'assurdità di un soggetto emarginato dalla
società, la stessa cosa faceva con un peccatore emarginato da Dio, secondo
regole inaccettabili. Questo intendo per coerenza... che poi "E fu la notte"
ed altro ancora siano peccati di gioventù (come lo stesso Fabrizio ha
ammesso) è un altro discorso. E poi un italiano non smette di essere
italiano se ogni tanto va a fare i cazzi suoi in Francia.
Post by Franco Senia
che strano, ho sempre ritenuto che miché si suicidasse perché non
sopportava di rimanere rinchiuso. La morte come modo di riguadagnare
la libertà, più che l'amore. E il diniego del funerale religioso visto
come "cifra" dell'ipocrisia di una società che non esita, pur di
stabilire la supremazia della propria concezione di "bene", a
"condannare" ad una pena - quale la dannazione eterna - che non
ammette nessun appello. Preoccupazioni queste che verranno espresse a
più riprese in molte delle canzoni successive.
"se n'è andato dal mondo
tu sai che lo ha fatto
soltanto per te"
Credo che la voglia di libertà sia una conseguenza. Però magari si sarebbe
ucciso anche se non avesse avuto Mari'
Post by Franco Senia
Sempre procedendo dal mio punto vista, ritengo che de andré, forse,
avesse assunto il punto di vista opposto, a quanto da te espresso.
Pensa ad un uomo che ritiene di non aver bisogno affatto di "fede" ma
che coltiva il timore, o il sospetto, che "dio" possa esistere.
A questo punto non c'è modo migliore di "esorcizzarlo" che quello di
assumere un punto di vista "animista", laddove dio è talmente
dappertutto che non ha più bisogno di essere da nessuna parte.
Quella affermazione l'ho ripresa pari pari dal libro dell'Einaudi "Come
un'anomalia". Sono le parole di De André. Lì Fabrizio dice anche di essere
contro il consumismo perché "si svilisce il valore dell'oggetto e se ne
facilita la distruzione". E' chiaro che questo Grande Spirito è astratto e
dal crollo di una certa immanenza (di certo l'immanentismo che sempre lì
Fabrizio cita), rimane in piedi solo il rapporto che ognuno ha con questi
oggetti e col prossimo. Credevo che questo si capisse già nel momento in cui
si escludesse di limitare alla figura di Dio la forza di quello Spirito.
Post by Franco Senia
Un'altra opinione che ho sempre sostenuto è quella che afferma non
essere presente per niente, il personaggio di gesù cristo, ne "la
buona novella". Si vede muovere, sebbene nell'ombra, perfino dimaco
ben più di cristo. Niente cristo e, soprattutto, niente cristianesimo.
C'è una stupenda storia di amore carnale e c'è una requisitoria
incofutabile, un punto per volta, del cristianesimo.
Qui non mi trovi d'accordo perché credo proprio che la figura di Cristo stia
alla base del discorso poetico de La buona novella. Lo penso perché è
proprio la figura di Cristo che in un certo senso confuta l'antico
testamento. Inoltre in troppe interviste De André ha esaltato la valenza
rivoluzionaria di Gesù, parlando le La buona novella o semplicemente di
religione.

Una cosa ci tengo a precisare. Questo mio articolo è volutamente incompleto
e abbastanza vago proprio per l'uso al quale è destinato. E' incompleto
perché altrimenti avrei riempito l'intero periodico, vago, in parte per
questo stesso motivo, in parte perché se non si conoscono bene i testi ci si
perde molto facilmente. Dico questo perché io credo che la maggior parte
delle persone non conosca i cantautori italiani. Se pensiamo che De ANdré è
venduto assieme a Sorrisi e canzoni ci rendiamo conto che si vuole vendere
una certa "faccia". A proposito di salvia splendens, visto che nel regno di
re silvio conta solo l'apparenza oggigiorno è molto utile comprare i diritti
di alcuni artisti e truccare i loro messaggi. Così oggi, per molti, De André
è solo Marinella e Bocca di rosa e se tu provi ad approfondire un pò
l'argomento (intendo scrivendo cose su dei giornali cose troppo
approfondite) o sei preso per pazzo oppure per incapace. Purtroppo questo
l'ho vissuto sulla mia pelle, così ho deciso di scrivere pezzi
"propedeutici" e non andare troppo in fondo... visto che tanto mi pagano lo
stesso ;-)

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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/

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