Post by PaoloTalancaSo che, ad esempio, a Riccardo Venturi non piacciono i link
non piacciono nemmeno a me, i link!
per cui....
salud
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Credevano a un altro diverso da Te
e non mi hanno fatto del male
La religione in Fabrizio De André
Fabrizio De André. Spesso basta questo nome per provocare due tipi di
reazioni distinte: approvazione entusiasta e consapevole o rispetto
fiducioso di bravura per sentito dire. Il mondo cantautoriale italiano è
relativamente vasto, tanto da creare giudizi artistici che variano nel caso
di strumentalizzazione politica per alcuni, di canzoni troppo commerciali o
troppo tristi per altri. Il rischio che si corre è quello di non tenere in
considerazione il fatto che nellintero magma di autori di testi e musica
che cantano le proprie opere i cosiddetti cantautori gli artisti che
creano arte sono quelli che decidono di trattare certi temi, distaccandosi
quanto più possibile dalle strazianti e ritrite tematiche amorose, che
ergono a baluardo inconfondibile la rima cuore/amore di tradizione
canzonettistica italiana. Con De André (e con pochi altri in verità) non si
corre assolutamente questo rischio. Uno dei temi principalmente trattati, in
alternativa alle mielose tiritere amorose, è sicuramente il tema del
rapporto con la religiosità.
Il proprio rapporto con la religione che Fabrizio De André lascia trasparire
nelle sue canzoni è assolutamente complesso. Spesso si usa far risalire al
1967 la data delle prime opere a sfondo religioso di Fabrizio. In
quellanno, infatti, uscì lalbum intitolato Volume I, dove cerano canzoni
dai titoli inequivocabili come Preghiera in gennaio (scritta la notte prima
dei funerali di Tenco) o Si chiamava Gesù. Io credo invece che Fabrizio, sin
dalle prime canzoni, raccolte in quarantacinque giri, abbia composto opere
che cercavano di rispondere ad una coerenza di fondo, la stessa coerenza che
lha accompagnato per tutta la sua vita e carriera artistica. Questa
uniformità apparteneva di sicuro anche alle primissime canzoni e si
rispecchiava nel rapporto con i misteri religiosi. E forse un quadro
abusato ed incompleto quello che dipinge Fabrizio come cantore delle persone
ingiustamente emarginate dalla società, ma è proprio da una di loro che
vorrei cominciare ad esaminare la relazione tra il cantautore genovese e la
fede. La canzone La ballata del Miche risale al 1961 e già da lì si
evidenzia una sorta di rivendicazione umana da parte dellautore, una velata
insofferenza per lingiustizia che toccherà a Miche anche dopo la morte.
Miche si uccide in carcere perché non sopporta di stare lontano dalla sua
Mimì. Alla mancanza di amore preferisce la morte e Fabrizio non accetta che
domani alle tre | nella fossa comune cadrà | senza il prete e la Messa
perché di un suicida non hanno pietà. Questi versi trasudano di voglia di
equità, tanto quanto quelli della sopra citata Preghiera in gennaio, dove
Fabrizio immagina Luigi Tenco quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte |
ai suicidi dirà baciandoli alla fronte | <<Venite in Paradiso là dove vado
anch'io | perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio>>; questo
susseguirsi di alessandrini, come limmeritata sepoltura di Miche, può
riassumersi nei versi celeberrimi de La città vecchia se non sono gigli |
son pur sempre figli | vittime di questo mondo o con quelli di Via del
campo dai diamanti non nasce niente | dal letame nascono i fior, fino a
giungere come ulteriore prova di coerenza allultimissima canzone della
sua vita, Smisurata preghiera, che alla maniera di un testamento incalza
ricorda Signore questi servi disobbedienti | alle leggi del branco | non
dimenticare il loro volto | che dopo tanto sbandare | è appena giusto che la
fortuna li aiuti | come una svista | come un'anomalia | come una distrazione
| come un dovere.
E importante osservare che in queste mie analisi, per trattare del rapporto
tra De André e la religione, ho usato la parola Dio. In effetti però De
André si definisce un animista e la parola Dio è spesso da lui usata per
pura comprensibilità, dato che in effetti Fabrizio frequentemente si rivolge
al Grande Spirito in cui si ricongiungono tutti i minuscoli frammenti di
spiritualità delluniverso ed il problema più che religioso è mistico, il
problema di un uomo che ha bisogno di fede ma fede non ha trovato. Non è
però mancato un periodo che potremmo chiamare di analisi della religione
cristiana, mi riferisco in particolare al disco del 1970 La buona novella.
Non è mia intenzione esaminare tutti gli aspetti di questo album, però credo
che vadano sottolineati alcuni passi fondamentali, che ci forniscono una
strada per comprendere il punto di vista dellautore. La buona novella è una
rivisitazione degli avvenimenti del Nuovo Testamento sulla base dei Vangeli
apocrifi. Gli autori di questi Vangeli furono greci, arabi, bizantini e
armeni e rappresentavano una voce inascoltata rispetto ai Vangeli canonici
che De André definiva lufficio stampa della Grande Chiesa. A Fabrizio
interessava la ricostruzione laica della vita di Cristo, al quale
riconosceva il merito di predicare la fratellanza universale e che
identificava come un vero eroe rivoluzionario. Lamore come pietà che non
cede al rancore conteneva per Fabrizio una delle più grandi istanze
rivoluzionarie di sempre e già dalla canzone Si chiamava Gesù la sua mira
era quella di rendere più umana la figura di Cristo, restando nella tendenza
alleterno di un amore senza rancore che esplodeva nei versi di quella
canzone: ma inumano è pur sempre l'amore | di chi rantola senza rancore |
perdonando con l'ultima voce | chi lo uccide tra le braccia d'una croce,
dove inumano (dunque non-umano, in questo caso divino o per meglio dire
metafisico) è quel tipo di amore, non i rantoli di un uomo ucciso
ingiustamente. Quei rantoli sono umani, ed è proprio questa maggiore umanità
che viene fuori dalla lettura degli apocrifi. Vengono fuori, ad esempio,
quelle caratteristiche terrene di Maria che hanno una lunghissima tradizione
sia nelle rappresentazioni religiose teatrali dei primi testi volgari, sia
nella poesia religiosa volgare, come in Jacopone da Todi che in Donna de
Paradiso si accosta allo spirito dei Vangeli apocrifi (ad esempio il Vangelo
di Nicodemo) già nel famoso pianto della Madonna O figlio, figlio, figlio!
| Figlio, amoroso giglio | figlio, chi da consiglio | al cor mio angustiato?
| Figlio, occhi giocondi | Figlio, co' non respondi? | Figlio, perché
t'ascondi | dal petto ove se' lattato?. Successivamente De André avrebbe
dato prova di apprezzare questo passo della poesia di Jacopone (e
dellapocrifo di Nicodemo) nella canzone Ottocento risalente al 1990, in
particolare nel passo Figlio figlio | povero figlio | eri bello bianco e
vermiglio | quale intruglio ti ha | perduto nel Naviglio | figlio figlio |
unico sbaglio | annegato come un coniglio | per ferirmi | pugnalarmi
nell'orgoglio | a me a me | che ti trattavo come un figlio | povero me |
domani andrà meglio, in cui entra in gioco il combattimento generazionale
che anche Vecchioni ha trattato nella canzone del 2002, appunto Figlio
figlio figlio e che tanto assomiglia al pianto di Davide, nel II libro di
Samuele, per la morte del figlio Assalonne.
La disperazione di Maria, dunque, è una caratteristica fondamentale per
rendere umanità alla figura della Madonna e sarà un punto di partenza, che
culminerà nella fortissima frase che Fabrizio farà pronunciare a Maria nella
canzone Tre madri non fossi stato figlio di Dio | tavrei ancora per figlio
mio.
Questo evidenziare il lato umano dei personaggi del Vangelo è senza dubbio
una presa di posizione forte della concezione religiosa di De André, e ci
chiarisce in maniera indiretta lessenza di quel Grande Spirito che per
chiarezza Fabrizio individuava col nome di Dio. Se la primissima canzone de
La buona novella si intitola Laudate dominum e lulitimissima Laudate
hominem, è chiaro che, attraverso un travaglio interiore, lautore rivendica
la rivalutazione degli atti umani, una fiducia incondizionata che anche
Vecchioni sembra esigere nella canzone La stazione di Zima: Lasciami |
questo sogno disperato | d'esser uomo | lasciami | quest'orgoglio smisurato
| di esser solo un uomo.
La lezione di Gesù come uomo è stata fondamentale; la lezione di un uomo che
ha messo in pratica lunica regola che la religione può imporci, cioè di
amare il prossimo in coerenza con una fratellanza realmente attuabile. Il
fatto di porre laccento sul tipo di amore portato da Cristo è una forza
tutta umana, che diventa surrogato di una fede aleatoria e misteriosa. Se a
Tito sulla croce Fabrizio fa pronunciare i versi io nel vedere quest'uomo
che muore | madre, io provo dolore | nella pietà che non cede al rancore |
madre, ho imparato l'amore, balza agli occhi quanto fosse importante anche
per luomo De André il rispetto dellaltro, anche nellerrore o nella
disperazione di questo altro.
Ecco perché Fabrizio è ricorso ai Vangeli apocrifi. Assunto il fatto che i
quattro Vangeli canonici rendevano una versione più o meno simile, egli si è
voluto provare in una tangibilità testimoniata da persone anche non
perfettamente calate nella realtà cristiana, ma che comunque riportano la
vita di Cristo con un enorme rispetto. Non è un segreto che, ad esempio, nel
mondo islamico Gesù sia considerato uno dei più grandi profeti mai esistiti
e che, di contro, per i cristiani Maometto sia poco più che un cialtrone.
E una enorme coerenza che anima questa voglia di non giudicare le diversità
da parte di De André, anche in campo religioso. E la coerenza di un uomo
che nelle canzoni non ha mai sbattuto la porta di fronte allalterità e che,
anzi, ha da sempre condannato la forza dellipocrisia di una maggioranza
meschina. Tuttaltra cosa, rispetto a questa meschinità, è lamore che
luomo è capace di provare.
Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
onde s'attrista sì che 'l contrario ama;
ed è chi per ingiuria par ch'aonti,
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che 'l male altrui impronti.
(La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XVII, vv. 112-123)
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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da
un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto
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